mercoledì 3 marzo 2010

«Ho ancora la febbre del sabato sera» Teo Teocoli: «In America sarei stato Tony Manero, qui mi lesinano anche la tv»


MILANO - È spiazzante Teo Teocoli, anche quando ti invita a casa per l'intervista nel giorno del 65esimo compleanno. «Me ne ero dimenticato». La gente lo ama per la sua imprevedibilità. Ma si può restare sinceri dopo 48 anni nel mondo dello spettacolo? «La sincerità mi è costata tante battaglie, soprattutto in tv. Ma io ce l'ho innata. La mia forza è essere quel che sono. Ho studiato poco, sono nato povero. Per tutto quello che è arrivato ringrazio il Padreterno e non posso smentire la mia natura. Ho lasciato le cose semplici, i facili guadagni, sono 6-7 anni che lavoro come quando ne avevo 25. Giro l'Italia, faccio 70-80 spettacoli l'anno. Con La Compagnia dei giovani, titolo ovviamente ironico, ho visitato 21 città, da Reggio Calabria a Firenze, Bologna, Roma».

Teo si racconta sul divano color crema della sua casa a quattro passi dal Duomo, dove vive con la delicata moglie Elena e le tre figlie. «La volevo proprio qui, l'ho comprata a pezzi. La famiglia si allargava e io commuovevo un vicino». Presenta gli animali: «il gatto Putita, trovatello che ci siamo portati da Ibiza. Non ce l’ha perdonato, era allegro ha perso la simpatia», e il cucciolo innominabile «si chiama Skunk, come l’erba». «Racconto storie e la gente impazzisce. Eppure in tv non mi invitano. Non per l’età, ho un fisico della Madonna. Non dovevo litigare con i colleghi».
Jeans e maglia blu notte, tutto Armani («melange esplosivo di creatività e perfezionismo»), Teo è consapevole della fisicità prorompente che negli anni '60 gli ha aperto le porte del bel mondo: la Spagna di Dalì, la Saint Tropez di Brigitte Bardot. Arrivato dalla Calabria con la famiglia viveva nelle case popolari dell'Idroscalo. «Non mi facevo riaccompagnare, mi vergognavo, ora ne vado fiero».

A Milano comincia il grande sogno. L’esordio al Derby con Cochi e Renato, Toffolo e Jannacci. «Ero alto, bello, cantavo benissimo e assomigliavo a Celentano. Avevo tantissime ragazze, potrei scrivere due libri come quello di Cassano. Tutto è cambiato 25 anni fa quando ho conosciuto mia moglie. Io avevo 40 anni, lei appena 25. Per anni ha sopportato che non riuscissi a cambiare vita. Quando mi sono reso conto che così giovane soffriva per amore, mi sono innamorato intensamente. Me ne sono accorto perché cantavo in auto. L'amore è importante. Mi consente di essere ancora un bell’uomo. Con quattro donne attorno devi curarti. Non dico tingersi i capelli, ma faccio ginnastica, l’unico vizio è il fumo».

Le sue ragazze sono Anna, Paola e Chiara, di 20, 18 e 16 anni. Passano ad abbracciarlo. «Visto che belle? Mi chiamano Papi, ma non sognano lo spettacolo. Anna studia alla Marangoni, Paola fa equitazione e penso voglia vivere con i suoi cavalli, Chiara fa il liceo scientifico e magari faremo un book fotografico», dice ammirandola. Riattacca. «Oggi un po’ tutti gli artisti si raccontano. Io ho cominciato tanti anni fa. Sono un autodidatta, non so niente. Conosco solo le cose della mia vita. E da uomo maturo ne posso raccontare tante. Ma non voglio ripercorrere gli Anni '60. La gente è stanca di sentirli. Parlo degli incontri che la fa immaginare. Celentano. Ha 7 anni più di me. Gli facevo la posta da mesi. Una sera mi disse, "oh, ma tu non puoi venire sempre qui, dai, sali su". Viveva in una casa di ringhiera con una grande stufa al centro. Ci sentiamo ancora, mi dice, «ma cosa vai a fare in giro, sta’ a casa. Poi c’è Jannacci che ti parla della Milano di La vita agra, film in cui cantava. O Battisti, che faceva l'orchestrale, giravamo insieme per le case discografiche a cercare chissà cosa. Poi lui l'ha trovata, io invece... Pensavo alle ragazze».

In sottofondo c’è sempre Milano, che Teo ha «surfuggiato » sulle due ruote. «Giro ancora in Vespa, anche se cado spesso e mi faccio male. La gente ride con i miei racconti di miseria. Quando arrivai, sul finire degli Anni '50, la mia felicità comprendeva anche la nebbia. Non era la foschia di oggi che allarma i tg. Allora si posava sulla città e la ovattava. Sapeva di terra, aria, erba tagliata. Noi ragazzi morti di freddo con le punte delle scarpe bagnate—la cosa più brutta— ci fermavamo ore a parlare con il collo incassato nel cappotto. Non c'erano macchine né luci. Un ricordo in bianco e nero indelebile». Quella passione non c’è più. «Milano è diventata una città invivibile. Ammiravo i grattacieli da viale Lunigiana, poi ho assistito all'evoluzione della città con i parcheggi, le metropolitane, l’Expò. Per 10 anni sarà un cantiere aperto, il problema non saranno le polveri sottili ma il rumore che genera angoscia. Anche per gli extracomunitari non c'è una politica. Da meridionale mi sono sentito dare molti appellativi, terun, baluba, Andalù. Dicevano, "quest chì l'è un terun, capis un casso, ma l'è un amis". La Milano dal cuore in mano non la ritrovo più».

Teo non nega gli errori personali. «Quando nasci povero sei smanioso. Ero litigioso, soprattutto con i potenti, e non mi pento. Capivo che approfittavano della mia ignoranza». Sempre stato outsider, Teo. Una volta ad Arcore si fece mettere alla porta da Berlusconi con la frase: «"lei faccia il geometra, l'artista lo faccio io". Rimasi fuori ore ad aspettare Boldi, eravamo lì con la sua macchina». Si è pentito «di aver discusso e litigato con i colleghi-amici: la Gialappa’s, ero il loro punto di riferimento. E Fabio Fazio, ci siamo persi di vista, lui punta alto, altissimo». «Oggi faccio una vita molto isolata. Non mi piace quasi più niente del mondo dello spettacolo. Una volta mi crucciavo perché non riuscivo a fare il cinema. Poi mi son detto: "non ci riesci perché non ce la fai ad alzarti alle 7 e perché vuoi tornare a fare il Derby, non un film con Steno o Damiani", con cui ho fatto dei provini. Da ragazzo ne ho fatto uno con un certo Giannelli. Cercava un giovane con un bel fisico che accompagnasse Anna Magnani da Ostia a Roma. Avevo i capelli lunghi, alle spalle. Mi guarda: "sai qual è il problema? Sei troppo uguale alla Magnani!"».

Teo non si arrende e coltiva i suoi sogni. «Al presidente Rai Galimberti ho chiesto: "quando me lo dà un varietà? Non vorrei che i giovani mi ricordassero solo per la Domenica Sportiva". Mi fa male vedere gente impreparata occupare tanti spazi. Vorrei stupire tutti con un grande spettacolo. Se avessi avuto 20 anni in America avrei fatto La febbre del sabato sera. Tony Manero ero io. Entravo nelle discoteche e non salutavo nessuno. Poi cominciavo a ballare al centro della pista e tutti si mettevano in cerchio a guardare ».

Maria Teresa Veneziani
02 marzo 2010
(tratto da Corriere.it)

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